Archive for the ‘politica’ Category

La rivoluzione egiziana

Tuesday, February 15th, 2011

La rivoluzione egiziana si è compiuta con l’aiuto dell’esercito che ha promesso elezioni democratiche entro sei mesi. L’Egitto è un pilastro del Medio Oriente. Speriamo che la democrazia si realizzi.

Riforma della scuola etudes-augias

Tuesday, January 4th, 2011

La scuola primaria

La scuola primaria va dalle elementari alle tre medie incluse occupando così l’infanzia e la prima adolescenza. Nella prima parte si impara a leggere, scrivere e far di conto. Ma si apprende anche storia geografia e, specialmente, musica e due lingue straniere facili, a quell’ età, da imparare. Occorre aggiungere le poesie e le fiabe per bambini. Come Pinocchio, quelle di Perrault, di Andersen e dei Grimm e credo pure quelle di Rodari. Nelle medie si approfondiscono le lingue,la storia,la geografia,la musica e si introduce il latino. Le poesie e le favole sono quelle per adolescenti. “I ragazzi della via Paal”, “Gli amanti dell’Orsa Maggiore”, i libri di Salgari e di Jules Verne.
Nell’intero corso la lingua italiana deve essere studiata sia nella forma scritta (“sii breve ed arguto”) sia nella dizione. Laddove la radice e le desinenze sono chiare, si perde ogni accento dialettale ed ogni forma di farfugliamento, tipico della più parte dei lettori televisivi, notoriamente semi-analfabeti di ritorno.
In quinta elementare non è necessario alcun esame, è invece indispensabile in terza media perché si tratta di un passaggio importante, da scolaro a studente. L’esame diventa un atto di responsabilità verso se stesso e perciò di avvìo alla maturità intellettuale.

La scuola secondaria

La scuola secondaria non può che essere unica. Ossia il Liceo classico poiché una base umanistica è indispensabile per qualsivoglia mestiere o professione. Non solo, ma con esso si può adire a tutte le facoltà universitarie contrariamente alla famigerata riforma brutalmente di classe del tutt’altro che idealista Giovanni Gentile.
Un diploma a metà percorso per chi necessita di lavorare può essere conseguito nei primi due anni universitari.
La scelta di una cultura umanistica di base è indispensabile. Il greco antico è indispensabile. Senza gli aristotelici ethos e logos metà della produzione holliwoodiana non esisterebbe. Senza il “panta rei” non esisterebbe l’altra metà. E senza l’eros e il thanatos Freud non sarebbe neppure nato. Con la riforma Gentile il 90% dei nostri talenti è finito nelle discariche. La scuola, per affiancarsi al lavoro, deve prima affiancarsi al cittadino formandolo.

L’università

L’università deve essere libera,competitiva,permanente e sempre aperta a tutti. Alle lezioni può partecipare il pubblico, come a teatro.
La qualità di una università è la qualità dei suoi docenti, che non devono né fare concorsi né offrirsi. Contano le loro pubblicazioni e sta ai consigli di amministrazione scovarli. Oggi con Internet è più facile. Ogni docente oggi ha un sito con le proprie opere. Basta navigare e lo si scopre.
Anche le facoltà scientifiche devono contemplare materie umanistiche come filosofia e le due lingue straniere con relative storia e letteratura. Dopo il diploma di laurea, che non è la laurea, si aprono tre anni di ricerca che danno lauree e dottorati e che vanno incentivati ripristinando il pre-salario. Infatti non è la scuola che deve adattarsi all’industria ma questa alla ricerca. In Italia infatti non esiste un’industria di base ma la manifattura che è sostanzialmente un indotto di qualcosa che non esiste. Bisogna infatti creare l’industria di base affiancandola alla ricerca. Esistono avanguardie europee come Inghilterra e Francia purchè non si discostino dall’America che è, piaccia o non piaccia, l’unico impero mondiale.
Si parla tanto di Cina e India. Avranno certo un grande avvenire ma solo quando riusciranno a sfamare un miliardo e mezzo di persone oggi sotto il livello di povertà.

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La repubblica dei saprofiti

Tuesday, January 4th, 2011

“Esistono in natura dei microrganismi di origine vegetale,detti saprofiti, che si attaccano ad organismi sia vegetali che animali in decomposizione e si nutrono di essi. E’ l’unico modo che hanno per sopravvivere. Lo stesso può dirsi degli individui che fanno parte delle vecchie strutture sociali in decomposizione. Si riducono ad essere dei saprofiti. Anche se la struttura è sostanzialmente caduta per la perdita di ogni valore etico, questi uomini la sostengono come forma permettendole di continuare ad esistere.”
Questo è l’inizio del brano di apertura del mio “Nuovo Umanesimo” del ’79 che preannuncia una classe politica di parassiti che caratterizzerà una seconda repubblica, ossia l’attuale “Repubblica dei saprofiti”.
La fotografia di Cesare Zanetta, in chiave surrealistico-esistenziale, la rappresenta alla perfezione e ne diviene pertanto il simbolo.

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Storia surreale di camorra e politica

Saturday, October 30th, 2010

La storia può cominciare a Comerio di Varese nello studio di Giovanni Borghi, presidente della Ignis, allora (anni ’60) una delle più grandi aziende di elettrodomestici. Davanti al suo scrittoio stanno, su due ampie poltrone, Cesare Bensi, sottosegretario alle Finanze, accompagnato da un funzionario del Ministero. Il dialogo è quasi inesistente, sostituito da un sorriso di convenienza, quasi un clichè, dei tre personaggi.
Il funzionario rompe l’immobilità della scena sfilando da una borsa un assegno del Ministero e consegnandolo al Borghi, il cui sorriso diviene immediatamente più aperto e genuino. Riposto l’assegno in un cassetto, il Borghi prende da sotto lo scrittoio una borsa a soffietto e la posa sullo scrittoio aprendola. E’ una borsa di banconote che il funzionario richiude e riprende senza permettersi alcun controllo. La fiducia è ovvia.
L’incontro può dirsi concluso e il Bensi, dopo le calorose strette di mano, si avvia all’uscita seguito dal funzionario e raggiunge l’auto blu del Ministero. Il funzionario, al tempo indivisibile dal suo vice-ministro, funge anche da autista. Sfreccia verso Varese, attraversa la città, imbocca l’autostrada, esce al casello di Castellanza e raggiunge Saronno parcheggiando la macchina in una strada occupata da auto di cilindrata medio-alta. I due percorrono un centinaio di metri e forse più e raggiungono un condominio dove abita Giancarlo D’Agostino, segretario della Federazione Socialista della provincia, che li riceve con un certo disappunto. “Sai benissimo che non voglio avere a che fare con queste cose” “Abbi pazienza. Non posso portare la borsa a Milano. Ho sempre paura di trovarmi in casa la Guardia di Finanza. Mi hanno informato che strane persone fanno la posta in via San Vincenzo. Domattina presto veniamo a riprenderla e andiamo direttamente a Roma”. Non è una novità che in Italia i poteri si siano sempre controllati a vicenda. Allora come, del resto, anche oggi. Il mattino seguente riappare l’auto blu sfrecciando subito dopo non per Roma, ma per Napoli, dove risiedeva Emilio De Martino, a quel tempo segretario nazionale del PSI, carica che passò poco a presso al suo socio Mancini.
Finora abbiamo descritto la dinamica del fatto giungendo fino a Napoli. Ora dobbiamo spiegare che senso ha quella borsa e che cosa le ruota intorno.
Esisteva una legge che autorizzava il rimborso alle aziende dell’IGE (divenuta poi IVA) pagata sulle esportazioni. Per sovrintendere a questo settore De Martino aveva nominato sottosegretario alle Finanze uno dei suoi portaborse, ossia il Cesarino Bensi. Costui si metteva in contatto con le più importanti industrie della sua circoscrizione elettorale, ossia il varesotto, e accelerava la consegna degli assegni. In cambio riceveva in contanti metà dell’importo indicato nell’assegno, destinata come obolo alle casse del PSI. In fin dei conti questi industriali aiutavano finanziariamente un partito politico. In cambio ricevevano con una certa sollecitudine una parte del rimborso che altrimenti avrebbero dovuto attendere “a babbo morto”. Ma, a questo punto, sorge un interrogativo. Perché a Napoli (ovviamente ad insaputa degli industriali) e non a Roma?
E qui comincia una seconda parte della storia.
De Martino, napoletano, si era accordato con la camorra, sia per un sostegno elettorale al partito sia per la assegnazione delle preferenze a uomini della sua corrente all’interno del partito. Il prezzo da pagare era metà di quella borsa, ossia un quarto dell’assegno staccato dal Ministero.
E’ intuibile che il contante della borsa non arrivasse intatto a De Martino. Il Bensi aveva le pareti della casa di via San Vincenzo cariche di quadri d’autore, e come copertura, aveva aperto un negozio d’arte e d’antiquariato intestandolo alla moglie. Ne derivava che l’importo della borsa, consegnato a De Martino, non era più la metà dell’assegno e di conseguenza il quarto destinato alla camorra non corrispondeva più al quarto dell’assegno. E tutto ciò, ovviamente, all’insaputa di De Martino.
A questo punto sorge un problema all’interno del partito. Un gruppo di ex partigiani delle Brigate Matteotti denuncia questa intollerabile connivenza con la camorra. Bisogna dire che questo gruppo nutriva un vecchio rancore per l’avvenuta emarginazione anni prima (come già scritto nel comunicato 10) di Corrado Bonfantini, il fondatore e comandante generale delle Brigate Matteotti, che lo si era sempre desiderato a capo del partito e non solo. La denuncia era all’interno del partito ma i dirigenti non tolleravano più la stessa esistenza di quel gruppo. De Martino allora, d’accordo con Mancini, decide di por fine a quella opposizione che potrebbe rischiare di diventare pubblica. Così decide di allontanare i Matteottini dalla vita politica nominando un magistrato in aspettativa, Martuscelli, alla presidenza del collegio dei probiviri col mandato preciso di liquidare quel gruppo. Il compito era sporco e ripugnante ma il Martuscelli accetta se, in cambio, avrà la candidatura ad un seggio senatoriale (non ricordo se Salerno o Caserta). Candidatura che De Martino non solo gli promette ma gli assicura. Il Martuscelli riuscì ad inventare un’accusa che non aveva alcuna rilevanza giuridica, ossia né penale né civile ma che poteva avere risonanza mediatica se ben orchestrata. L’accusa per circa una cinquantina di Matteottini era di “nepotismo” di cui, a dirla tutta il primo imputabile sarebbe dovuto essere lo stesso De Martino che aveva collocato suo figlio presso la RAI. L’accusa, in ogni caso, era ridicola e infantile ma il killeraggio mediatico produsse il suo effetto. A questo killeraggio si prestò anche il Corriere della Sera. Di partigiani colpiti dagli strali di Martuscelli io, a mezzo di un amico di via del Corso, ne contai 36 (ma saranno stati certamente di più). Fra questi c’ero anch’io. E sapevo il perché. Una volta mi trovavo per caso a Saronno a casa del D’Agostino quando giunse il Bensi con la famosa borsa. Ero un testimone pericoloso. Anche se io, per carità di partito non rivelai mai niente. Questa era l’etica dei Matteottini.
A questo punto avviene un fatto di cronaca nera. Il figlio di De Martino, quello collocato alla RAI, viene rapito dalla camorra.
Che cosa era successo? Una cosa semplice. La camorra, che aveva i suoi infiltrati nel Ministero delle Finanze, era venuta a conoscenza che il quarto degli assegni a lei dovuto era superiore a quanto gli era stato pagato. De Martino, come abbiamo visto, era innocente. Lui stesso era stato ingannato dai suoi bravacci come il Cesarino Bensi. Ma per la camorra responsabile era De Martino e lo sgarro era un dato di fatto. Ma De Martino riuscì a far pagare il riscatto allo Stato.
“Ce passe que”, direbbero i francesi, avviene che al Corriere della Sera arriva una missiva del Martuscelli il quale denuncia che De Martino è spergiuro, non ha mantenuto la promessa di candidarlo a un collegio senatoriale. Per cui si sente autorizzato a rivelare che il seggio senatoriale era il prezzo per liquidare, allontanandoli dal partito, come il Corriere ben sa in quanto ha contribuito con la sua campagna mediatica, i Matteottini, colpevoli solo di essere stati combattenti per la libertà.
Che cosa era successo?
Semplice. Ingannata da De Martino sull’importo degli assegni, la camorra aveva tolto il suo sostegno elettorale non solo ai seggi senatoriali ma all’intero partito. Tutto ciò è nei documenti consegnati da Martuscelli al Corriere e tuttora esistenti negli archivi di questo giornale. Siamo ai primi anni degli anni ’70 e, come ho già scritto nel mio comunicato n 10 (“L’albero ferito”), non c’è che richiederli.
Da questo momento sono valide tutte le deduzioni sulla continuità del rapporto camorra PSI anche nel periodo craxiano. Devo premettere che io ero l’unico amico che Craxi avesse nel varesotto e mi voleva sempre a Roma nelle riunioni della sua corrente. Quando avvenne l’attacco di De Martino io chiesi il suo intervento che si limitò a una lettera a qualche sindaco e non al Corriere che stava conducendo la campagna senza dare ai Matteottini nessuna possibilità di replica. Così ruppi con lui e, una volta che lo incontrai in Galleria, lo insultai senza dargli neanche il tempo di replicare. Egli allora mi mandò svariate volte a casa Libero Della Briotta, deputato di Sondrio, e suo fedelissimo, con l’intenzione dichiarata di recuperarmi. Ma così non era. Era l’eterna paura che io parlassi in quanto lui stesso aveva utilizzato politicamente quell’argomento. Infatti, mi disse Libero Della Briotta, che Craxi, quando defenestrò De Martino nell’albergo dove questi risiedeva a Roma, ottenne in cinque minuti la consegna dei poteri minacciando appunto di rendere pubblica la sua relazione con la camorra aggiungendo che era in grado di portare testimonianze. Fra queste testimonianze, mi disse Della Briotta, c’era anche la mia.
Di fatto sentii che fra me e lui c’era un vuoto incolmabile. Di mano in mano che egli saliva nel suo delirio di onnipotenza, io lo sentivo cadere. Crollò a Segonelle, non si avvide del ridicolo quando, a nome dell’ONU, voleva insegnare ai Paesi indebitati come diminuire i loro debiti, lui che rappresentava uno dei Paesi più indebitati del mondo. Ma toccò il fondo quando affidò conti miliardari a un barista di Portofino. Finì come finì per aver tradito l’amicizia di chi gli voleva bene. Egli, così sospettoso, aveva fatto deputato nel 1992 un ragazzino di 27 anni che neppure conosceva ma che gli era stato presentato a Napoli. Da chi? Lo stesso ragazzino, oggi di mezza età, viene presentato sempre a Napoli all’erede di Craxi ed ottiene un posto di responsabilità. Viene presentato a Napoli. Da chi?

L’inchiesta è aperta ma la storia non ha fine. E’ la solita dialettica sartriana senza sintesi. Alienazione – liberazione – nuova alienazione.


Nuovo Umanesimo e progetti globali

Wednesday, October 13th, 2010

Contro fondamentalismi,populismo e localismi sterili.
Vediamo di riassumere il messaggio per le nuove generazioni che saranno costrette a cambiare il mondo.
Il nuovo umanesimo, in nome della libertà, deve informare e formare la coscienza individuale contro il fondamentalismo, il fanatismo e il terrorismo. Non esistono missioni di pace ma di guerra contro queste catastrofi dell’umanità.
Dal nuovo umanesimo deriva la liberaldemocrazia contro il populismo che,proprio in nome del popolo, diventa autoritarismo finendo per negare i diritti più elementari dei cittadini.
La trasformazione sociale, dovuta allo strepitoso sviluppo delle tecnologie, pone alla base dell’economia i grandi settori portanti e pertanto i grandi progetti multinazionali che produrranno un indotto a livello planetario e con esso la piena occupazione che è la vera base dell’economia contemporanea. E ciò contro ilocalismi sterili che non potranno che produrre corruzione.
La caduta dei grandi ideali provoca inevitabilmente squallida fame di denaro.

Killeraggio mediatico come attentato alla democrazia

Monday, October 11th, 2010

I veri killer mediatici sono le televisioni,nessuna esclusa,al soldo del padrone. Esse riportano quotidianamente e fino all’ossessione i titoli di due giornali che altrimenti non avrebbero alcun lettore e che sono di fatto pura manovalanza al soldo delle televisioni e del loro padrone.
Gabellare il killeraggio mediatico per libertà di stampa è un attentato alla democrazia cui bisogna rispondere organizzando decisamente la resistenza secondo i dettami della Costituzione che legifera anche in questa materia.I movimenti e i partiti democratici si sveglino.
Si tenta persino un facsimile di strategia della tensione.Ma,per fortuna, si tratta solo di un velinaro e di una pistola giocattolo. Ma il solo tentativo è sempre un pericolo e i democratici sappiano essere responsabili del momento che viviamo.

Nuovo Umanesimo e liberal-democrazia

Monday, October 4th, 2010

Io spesso mi domando che differenza ci sia.in campo economico-sociale, fra i Tories e il new labour inglesi. Le vere differenze sono nominali e di tradizione ma ben poche di sostanza. Ogni tanto si accaniscono oltre misura sun qualche vertenza per dimostrare l’esistenza di un conflitto mentre di fatto si dilaniano ciascuno al proprio interno anche, come abbiamo visto recentemente,tra fratelli di sangue.
Il grande progresso tecnologico ha assotigliato i grandi eserciti industriali del passato. la lotta di classe dovrebbe essere scomparsa tranne dove si manifesta una tragica ignoranza padronale. Abbiamo recentemente visto un capo-fabbrica negare agli operai i più elementari diritti umani,quelli che tutti noi ci siamo conquistati in oltre due secoli dall’Illuminismo a oggi. Si tratta ad ogni modo di casi di follia che, però, trovano assenso da parte di movimenti populisti e autoritari.
Ecco così apparire la vera dialettica politica del nostro tempo costituita da questi movimenti autoritari contro la liberal-democrazia degli altri partiti che possono benissimo fare blocco nel nome eterno della libertà.

La novità "tecnica" di Raffaele Lombardo

Tuesday, September 28th, 2010

Lombardo ha chiamato “tecnico” il suo nuovo governo ma, di fatto, egli ha annullato le vecchie categorie della politica. Destra, sinistra, centro, non esistono più. Esiste un blocco populista e autoritario cui bisogna contrapporre un altro blocco, ma democratico-liberale. Così ha fatto mascherando da “tecnica” una nuova maggioranza che va dai finiani al pd. Una volta si sarebbe detto che la cosa era addirittura contro natura. Oggi, al contrario, risponde esattamente al nuovo assetto sociale.
In altro blog io ho asserito che l’ideologia del nostro tempo è il liberal-socialismo. Non ci sono due ideologie. Ce n’è una sola. Non solo per l’Europa ma per l’intero Occidente che oggi comprende anche il Giappone e la Corea e andrà sempre più comprendendo altri Paesi orientali che stanno apprendendo le tecnologie più avanzate.
Perchè sono le tecnologie che hanno cambiato, e andranno sempre più cambiando, la società.
Le tecnologie vanno sempre più sostituendo la fatica umana e chi non vuole accettare questo fatto può opporsi solo con l’autoritarismo.
Così che autoritarismo e libertà rappresentano la vera dialettica della nostra epoca che Lombardo ha interpretato alla perfezione e che ha definito “tecnica” solo perchè noi siamo ancora cuturalmente antichi.

liberal-socialismo e terza rivoluzione industriale

Thursday, August 5th, 2010

Abbiamo parlato del liberal-socialismo come ideologia della nostra epoca e della terza rivoluzione industriale come unica insostituibile e inevitabile riforma strutturale della nostra economia.
Ora dobbiamo constatare che il liberal-socialismo è l’unica base fondante della terza rivoluzione industriale. Senza questa ideologia non sarebbe possibile questa rivoluzione.
Ideologia e rivoluzione sono l’avvìo di un nuovo modo di vivere dell’intera umanità. per cui le opposizioni saranno forti e sarà pertanto indispensabile un esercito democratico che bsi comporti come l’esercito di Kemal Ataturk.
La vera opposizione al liberal-socialismo e alla nuova rivoluzione industriale è la corruzione e il coacervo di poteri occulti che essa crea e alimenta. A tutti i livelli, specie a quelli alti.
Non a caso ho parlato di progetti nbpresentati e realizzati da Stati multinazionali come l’Impero atlantico a guida anglo-americana o l’Europa mediterranea e continentale a guida francese.Sono da coinvolgere ovviamente i Paesi asiatici ormai legati all’Occidente (Giappone,Sud Cora, Taiwan ecc.)La Cina e l’India stesse possono essere coinvolte in progetti multinazionali. Nel loro stesso interesse.

Stati multinazionali per programmi di lavoro

Tuesday, May 11th, 2010

Nella nostra epoca lo Stato è l’unico vero e concreto interlocutore dei lavoratori.
Lo Stato ha il compito di programmare i grandi lavori. Ad esempio,l’alta velocità da Lisbona a Vladivostok.
A questo punto lo Stato non può più essere quello nazionale. Che senso avrebbe uno Stato italiano.Come minimo lo Stato dovrebbe essere l’Europa, se esistesse. Oppure l’impero anglo-americano ,che esiste. Con tutti i loro associati storici cosparsi in tutti i continenti.
Una cosa non è difficile prevedere. La globalizzazione ha bisogno di grandi centri direzionali e priverà di ogni potere reale tutti i localismi . Lo Stato multinazionale non potrebbe tollerare alcun intoppo.

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